Misure di vita

"La vita come un rubinetto che gocciola: le gocce sono i giorni, lo stillicidio le nostre parole".

"Giungerà mai l’acqua, attraverso i condotti fognari, a confondersi con il mare?"

E’ normale per me far questo tipo di soliloqui almeno dieci volte ogni giorno e perdere così l’efficienza di preziosi neuroni, i quali, per quanto innumerevoli, hanno anche loro un limite, soprattutto nella pazienza!

Mi è capitato infatti di ripensare all’ultimo ventennio autobiografico attraverso i mondiali di calcio e, pur sapendo quanto sciocco sia, di scrivere degli appunti al riguardo, affinché la situazione apparisse in un certo senso più chiara.

Trovandomi tra le mani di lì a poco una telecamera ne ho addirittura ricavato un filmetto, montaggio e doppiaggio, assolutamente da solo.

In occasione del mio ventisettesimo compleanno (oh mio Dio!), l’ho proposto agli invitati, subito prima di consumare il rito della torta (in modo da farlo dimenticare tosto) ma appena dopo le canoniche pizzette e cocacola (prima di tutto lo stomaco).

Il tutto cominciava da Argentina ’78, quando avendo l’unico televisore a colori del quartiere, la mia casa era presa d’assalto da orde di gente-stile-festa-patronale.

Quella folla eccitava particolarmente noi bambini, che disinteressandoci totalmente delle partite, praticavamo uno strano gioco, detto "dei Cervi", dove partendo a quattro zampe dai lati opposti del lungo corridoio, a livello della cucina, godevamo di fragorose craniate l’uno contro l’altro.

Il piccolo Paolo, che ci teneva a vincere, si allenava da solo con il muro, quando un suono sordo giunse a noi tutti.

Accorsi, lo trovammo in stato confusionale.

E fu allora che Bettega segnò il gol decisivo contro i padroni di casa.

Dei mondiali vittoriosi in Spagna ho in mente due episodi: la mia totale identificazione nella persona di Bruno Conti ed il pugno che mio padre scaglio sul mio avambraccio (mi sembra di vederne il replay) al terzo gol di Rossi al Brasile.

Felice e dolorante.

Da parte sua, il più gran gesto d’affetto che ricordi.

Nell’ottantasei la prima cotta e la prima delusione amorosa.

Ero convinto che il mio stato depressivo avrebbe cointeressato gli azzurri in Messico.

Che infatti tornarono presto a casa indegnosamente.

Quando la Coppa arrivo a Bari per Italia ’90 ero, piccola e tenera matricola universitaria, lì ad aspettarla.

La sera della semifinale, solo a casa, tentai di cucinare pastasciutta senza sapere da dove incominciare.

Misi i 500 gr. nell’acqua fredda e la lasciai bollire…

… vidi gli italiani sbagliare i rigori con un pietoso cracker nella mano.

Il giorno dopo feci l’esame.

Lo passai, ma non detti il meglio di me: un onorevole terzo posto.

Quattro anni fà fu un’Estate incredibile.

Una serie indefinita di viaggi astrali, tranquillità assoluta, visione del mondo in perfetta sintonia con i sensi, scoperta di un modo nuovo di intendere la vita, amore per l’intero creato.

Da quel momento potevo solo peggiorare.

(Quando Roby, di vocazione buddhista, posizionò il pallone sul dischetto, sapevo che l’emozione non l’avrebbe tradito, perché per noi una finalissima non vuol dir nulla).

Ed infatti peggiorai (ed il pallone finì alto, anzi altissimo, sopra la traversa).

Tra pochi giorni comincerà l’ennesimo Mondiale.

Vorrei telefonare ad un po’ di gente solo per dire un’ultima volta che ho ancora ventisei anni.

Si fa luce in sala e trovo gli invitati impazienti di andar via.

Ma le gocce hanno formato un mare nella mia testa.

Il 2002 è così lontano.